SPETTACOLO SENZA TEMPO
Nelle immediate vicinanze della Porta Prætoria, lungo il Decumano Massimo, sorge uno dei monumenti antichi più iconici di Aosta, il Teatro romano.
Risalente alla prima metà del I secolo d.C., questo imponente edificio è un capolavoro dell’architettura romana altoimperiale al cui cospetto si resta ancora oggi senza parole. L’incontro con l’edificio avviene in un contesto di forte impatto paesaggistico in cui le alte vette che circondano la città esaltano lo slancio del possente muro di facciata alto 22 metri che si innalza su un’area urbana e archeologica di affascinante ricchezza.
Nonostante i suoi duemila anni, dunque, questo spettacolare – è il caso di dirlo – teatro antico riesce a emozionare i visitatori, anche grazie ai tanti eventi che ospita, accompagnandoli alla scoperta di un’epoca in cui andavano in scena le commedie di Plauto, le farse e i mimi, in un vivace quartiere di Augusta Prætoria esclusivamente dedicato all’arte dell’intrattenimento.
CENNI STORICI Appartenuto per secoli alla famiglia Challant, il castello conserva i caratteri di una elegante e raffinata dimora signorile della fine del Quattrocento.
Nel corso del tempo gli edifici esistenti furono ampliati e uniti, creando un unico palazzo a ferro di cavallo, affacciato su un ampio cortile e un giardino all‘italiana, sul cui alto muro di cinta erano dipinti personaggi famosi ed eroi. L’ampio porticato al piano terreno protegge una serie di lunette affrescate con scene di vita quotidiana e rappresentazioni di botteghe, mentre il centro del cortile è ornato dalla celebre fontana in ferro forgiato detta del Melograno, simbolo di prosperità. Molti ambienti del castello sono decorati con affreschi, sia nelle zone di rappresentanza, quali la Sala di Giustizia o la Cappella, sia nelle stanze più private, quali gli oratori di Margherita de La Chambre o di Giorgio di Challant. Dopo i fasti del Cinquecento, la residenza si avviò verso un progressivo declino e nel 1872 fu venduta all’asta pubblica.
La dimora fu acquistata dal pittore torinese Vittorio Avondo: egli, con un’attenta campagna di restauro, restituì al maniero il suo splendore. Il castello di Issogne si presenta oggi con alcuni elementi dell‘originale mobilia e altri arredi rifatti alla fine dell’Ottocento che insieme a numerosi oggetti d‘uso domestico ripropongono l‘ambientazione tardo quattrocentesca voluta da Avondo, al quale è stato recentemente dedicato un percorso di visita.
PERCORSI DI VISITA Appartenuto per secoli alla famiglia Challant, il castello conserva i caratteri di una elegante e raffinata dimora signorile della fine del Quattrocento.
Nel corso del tempo gli edifici esistenti furono ampliati e uniti, creando un unico palazzo a ferro di cavallo, affacciato su un ampio cortile e un giardino all‘italiana, sul cui alto muro di cinta erano dipinti personaggi famosi ed eroi. L’ampio porticato al piano terreno protegge una serie di lunette affrescate con scene di vita quotidiana e rappresentazioni di botteghe, mentre il centro del cortile è ornato dalla celebre fontana in ferro forgiato detta del Melograno, simbolo di prosperità. Molti ambienti del castello sono decorati con affreschi, sia nelle zone di rappresentanza, quali la Sala di Giustizia o la Cappella, sia nelle stanze più private, quali gli oratori di Margherita de La Chambre o di Giorgio di Challant. Dopo i fasti del Cinquecento, la residenza si avviò verso un progressivo declino e nel 1872 fu venduta all’asta pubblica.
La dimora fu acquistata dal pittore torinese Vittorio Avondo: egli, con un’attenta campagna di restauro, restituì al maniero il suo splendore. Il castello di Issogne si presenta oggi con alcuni elementi dell‘originale mobilia e altri arredi rifatti alla fine dell’Ottocento che insieme a numerosi oggetti d‘uso domestico ripropongono l‘ambientazione tardo quattrocentesca voluta da Avondo, al quale è stato recentemente dedicato un percorso di visita.
MEDIA GALLERY Appartenuto per secoli alla famiglia Challant, il castello conserva i caratteri di una elegante e raffinata dimora signorile della fine del Quattrocento.
Nel corso del tempo gli edifici esistenti furono ampliati e uniti, creando un unico palazzo a ferro di cavallo, affacciato su un ampio cortile e un giardino all‘italiana, sul cui alto muro di cinta erano dipinti personaggi famosi ed eroi. L’ampio porticato al piano terreno protegge una serie di lunette affrescate con scene di vita quotidiana e rappresentazioni di botteghe, mentre il centro del cortile è ornato dalla celebre fontana in ferro forgiato detta del Melograno, simbolo di prosperità. Molti ambienti del castello sono decorati con affreschi, sia nelle zone di rappresentanza, quali la Sala di Giustizia o la Cappella, sia nelle stanze più private, quali gli oratori di Margherita de La Chambre o di Giorgio di Challant. Dopo i fasti del Cinquecento, la residenza si avviò verso un progressivo declino e nel 1872 fu venduta all’asta pubblica.
La dimora fu acquistata dal pittore torinese Vittorio Avondo: egli, con un’attenta campagna di restauro, restituì al maniero il suo splendore. Il castello di Issogne si presenta oggi con alcuni elementi dell‘originale mobilia e altri arredi rifatti alla fine dell’Ottocento che insieme a numerosi oggetti d‘uso domestico ripropongono l‘ambientazione tardo quattrocentesca voluta da Avondo, al quale è stato recentemente dedicato un percorso di visita.
PROTAGONISTI Appartenuto per secoli alla famiglia Challant, il castello conserva i caratteri di una elegante e raffinata dimora signorile della fine del Quattrocento.
Nel corso del tempo gli edifici esistenti furono ampliati e uniti, creando un unico palazzo a ferro di cavallo, affacciato su un ampio cortile e un giardino all‘italiana, sul cui alto muro di cinta erano dipinti personaggi famosi ed eroi. L’ampio porticato al piano terreno protegge una serie di lunette affrescate con scene di vita quotidiana e rappresentazioni di botteghe, mentre il centro del cortile è ornato dalla celebre fontana in ferro forgiato detta del Melograno, simbolo di prosperità. Molti ambienti del castello sono decorati con affreschi, sia nelle zone di rappresentanza, quali la Sala di Giustizia o la Cappella, sia nelle stanze più private, quali gli oratori di Margherita de La Chambre o di Giorgio di Challant. Dopo i fasti del Cinquecento, la residenza si avviò verso un progressivo declino e nel 1872 fu venduta all’asta pubblica.
La dimora fu acquistata dal pittore torinese Vittorio Avondo: egli, con un’attenta campagna di restauro, restituì al maniero il suo splendore. Il castello di Issogne si presenta oggi con alcuni elementi dell‘originale mobilia e altri arredi rifatti alla fine dell’Ottocento che insieme a numerosi oggetti d‘uso domestico ripropongono l‘ambientazione tardo quattrocentesca voluta da Avondo, al quale è stato recentemente dedicato un percorso di visita.
ACQUISTA IL BIGLIETTO Appartenuto per secoli alla famiglia Challant, il castello conserva i caratteri di una elegante e raffinata dimora signorile della fine del Quattrocento.
Nel corso del tempo gli edifici esistenti furono ampliati e uniti, creando un unico palazzo a ferro di cavallo, affacciato su un ampio cortile e un giardino all‘italiana, sul cui alto muro di cinta erano dipinti personaggi famosi ed eroi. L’ampio porticato al piano terreno protegge una serie di lunette affrescate con scene di vita quotidiana e rappresentazioni di botteghe, mentre il centro del cortile è ornato dalla celebre fontana in ferro forgiato detta del Melograno, simbolo di prosperità. Molti ambienti del castello sono decorati con affreschi, sia nelle zone di rappresentanza, quali la Sala di Giustizia o la Cappella, sia nelle stanze più private, quali gli oratori di Margherita de La Chambre o di Giorgio di Challant. Dopo i fasti del Cinquecento, la residenza si avviò verso un progressivo declino e nel 1872 fu venduta all’asta pubblica.
La dimora fu acquistata dal pittore torinese Vittorio Avondo: egli, con un’attenta campagna di restauro, restituì al maniero il suo splendore. Il castello di Issogne si presenta oggi con alcuni elementi dell‘originale mobilia e altri arredi rifatti alla fine dell’Ottocento che insieme a numerosi oggetti d‘uso domestico ripropongono l‘ambientazione tardo quattrocentesca voluta da Avondo, al quale è stato recentemente dedicato un percorso di visita.
Informazioni Teatro romano Via Porta Prætoria AOSTA tel. 3311491462 e-mail: beniculturali@regione.vda.it |
Orari Ottobre – Marzo: 10.00 – 13.00 / 14.00 – 17.00 Aprile – Settembre: 9.00 – 19.00 Chiuso 25 dicembre e 1°gennaio |
Teatro romano chiuso fino a maggio 2025
CENNI STORICI
LE ORIGINI
IL DECLINO
LA RINASCITA
In età giulio-claudia, tra gli anni 20 e 30 del I secolo d.C., quando Augusta Prætoria aveva ormai consolidato il proprio ruolo politico-amministrativo e i Romani avevano stabilizzato la loro presenza sul territorio, si mette mano alla realizzazione degli edifici riservati agli spettacoli: il Teatro prima e l’Anfiteatro poi.
A tale scopo viene assegnato l’angolo urbano nord-orientale, creando così un complesso all’interno delle mura: scelta poco diffusa nelle città romane, ma che sottolineava la razionalità del piano regolatore ponendo questo settore all’interno di una precisa griglia di assi stradali oltretutto nei pressi del massimo ingresso cittadino in modo da agevolare il flusso del pubblico.
Il complesso teatrale aostano subisce diversi rimaneggiamenti con la costruzione di numerosi piccoli edifici al suo interno che ne occultano sempre di più la struttura lasciando in vista solo la parte più alta della facciata.
Avvicinandosi all’età moderna, l’imponenza di tali resti ha attratto l’interesse di molti storici locali, ma la difficoltà di lettura e una scarsa conoscenza dei modelli architettonici di epoca classica hanno condotto a fraintendimenti interpretativi.
I vari appellativi con cui venne indicato il Teatro, tra cui magnum palatium o hôtel de justice, indicano la forte suggestione data dalla grandiosità di queste vestigia.
Nel corso dell’Ottocento, con le prime indagini archeologiche di Carlo Promis, il monumento viene studiato e illustrato sebbene non ancora in maniera del tutto corretta.
Consistenti lavori di liberazione e consolidamento vengono attuati in epoca fascista sotto la direzione di Pietro Barocelli: l’aspetto attuale del Teatro è l’esito di quegli interventi che hanno senza dubbio esaltato l’identità romana, ma purtroppo cancellato le tracce delle fasi successive.
PROTAGONISTI
Nato a Modena nel 1887, si trasferì a Torino con la famiglia nel 1911. Allievo di Schiaparelli, dopo la laurea in Egittologia lo affiancherà e sostituirà nelle numerose campagne archeologiche all’estero. Dal 1912, come ispettore per la Soprintendenza piemontese, coordina diverse attività in Valle d’Aosta: ricordiamo gli scavi al Colle del Piccolo San Bernardo e alla necropoli neolitica di Champrotard (Villeneuve). Pioniere dell’archeologia rupestre, diventa Soprintendente quando, in piena epoca fascista, l’obiettivo principale è quello di promuovere il mito della romanità. Nel 1931 iniziano, sotto la sua direzione, i lavori sulla facciata del Teatro romano che viene liberata dalle casupole addossate, consolidata e ripristinata in alcune sue parti. Nel 1933 diventa direttore del Museo di Antichità di Parma e, dal 1934, va al Museo Preistorico ed Etnografico Pigorini di Roma per poi diventare Soprintendente alle Antichità di Roma nel 1941, ruolo che ricoprì per tredici anni fino al pensionamento.
Nato a Torino nel 1808, fu architetto, storico dell’architettura, archeologo ed epigrafista, nonché docente di architettura alla Regia Scuola d’ingegneria del capoluogo sabaudo. Dopo la laurea in ingegneria civile trascorse un lungo periodo a Roma per studiare il mondo classico. L’archeologia divenne quindi il suo maggiore interesse, tanto che, una volta rientrato a Torino, si dedicò a illustrare diversi monumenti di epoca romana. Dal 1837 ispettore dei Monumenti d’antichità negli Stati Sardi e nominato regio archeologo nel 1839, scrisse opere ritenute ancora oggi fondamentali: Dell’antica città di Luni e del suo stato presente (1838), Le antichità di Aosta (1864) e Storia dell’antica Torino (1869). Torino gli deve inoltre la progettazione di alcune delle sue più belle scenografie urbane: Piazza Carlo Felice, Piazza Vittorio Veneto e Porta Susa.
Nato a Viterbo nel 1904, si laurea in Architettura a Roma nel 1928. Dopo un biennio alla Scuola Archeologica di Atene, nel 1933 entra nell’amministrazione delle Antichità e Belle Arti. Come direttore dell’Ufficio dei Monumenti di Ravenna (1935), come Soprintendente alle Antichità del Piemonte (1936) e quindi Soprintendente ai Monumenti della Campania, Rosi conosceva assai bene le problematiche statiche delle strutture architettoniche e le sue competenze furono preziose per le attività di protezione antiaerea predisposte dalla Direzione generale dal 1939 allo scoppio della guerra. Ad Aosta diresse gli scavi del Teatro romano nella seconda metà degli anni Trenta del secolo scorso, in un periodo di grande disponibilità finanziaria in cui l’interesse per la riscoperta di Aosta romana era esaltato dalla politica del regime fascista e dalle celebrazioni del bimillenario della nascita di Augusto nel 1937. I suoi interventi hanno lasciato preziose informazioni sui resti dell’apparato decorativo del proscenio e dell’orchestra, oggi non più visibili.
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